ODE AL DENTE DI LEONE il luogo magico dive oggi vivono i miei sogni Ero una donna grande quando decisi di ascoltare. Avevo tanto parlato, cantato e ballato, avevo portato il sorriso in tanti luoghi ma non avevo mai trovato un posto tutto mio, uno che potessi chiamare casa, un luogo in cui riposare e ascoltare. Un posto insomma che mi parlasse e recitasse per me. Vengo dal paese di Burlonia io, un paese dimenticato dove la gente vive di arte e di teatro, dove si indossa un personaggio ogni mattina e lo si interpreta ogni giorno. In questo bislacco paese recitare è vivere, si vive recitando. Sin dall’infanzia interpretavo miei personaggi con tale convinzione da dimenticare chi fossi veramente. Fu per questo che un mattino, nel quale mi ero data al ruolo di viaggiatore audace, partii dall’amata patria, Burlonia, in cerca di avventura. Mi allontanai così tanto dai suoi confini da perderla per sempre. A nulla valsero, negli anni a venire, i miei tentativi di ritrovarla e il desiderio di tornare. Burlonia scomparve dal mio orizzonte per sempre. Ero giovane e piena di entusiasmo e, pur avendo perso la mia patria, mi lasciai rapire dalla vita che avevo di fronte e dai personaggi che ancora non avevo interpretato. Fui viaggiatrice e rivoluzionaria, artista e guerrigliera, bracciante ed intellettuale e un giorno, vestita di primavera, fui rapita dall’amore per diventare compagna, madre, poi nonna e infine cuntastorie. Fu in questi panni che incontrai il giovane dente di leone mentre, ormai attrice della mia vita, ero alla ricerca di un luogo sacro dove fermarmi ad ascoltare per raccogliere nuove storie. “Tu devi essere la narratrice di cui tanto si parla in questa via?” Disse il giovane fiore nato in una fessura della strada. “Sono io, o almeno così credo. Come posso esserti utile, splendido fiore?” Risposi. “Vorrei che tu ti fermassi ad ascoltarmi, sarò la tua casa e la tua musa se vuoi, tu saprai essere il mio ascoltatore?” “Certamente, so essere chiunque voglio.” E mi sedetti lì ai margini della strada, ad ascoltare un fiore. Il fiore cominciò: “Fui seme intrappolato nel cemento, vittima di una colata inaspettata di calcestruzzo, vivevo al buio anelando la luce. È una brutta situazione sai, rara in natura, un modo di vivere che poco si addice ai fiori. Ma non mi arrendevo al mio destino, come nessun seme si arrende mai, sa che la vita che è dentro di lui DEVE sbocciare e aspetta fin quando questo non avviene. Io in più spingevo. Mi sentivo forte ed ogni giorno spingevo, ero convinto che così mi sarei fatto strada verso la luce. Un mattino venni svegliato da un rumore potente, la terra tremava e una piccola crepa si era aperta sopra di me. Piantai bene i miei piedi sul terreno, sguainai la mia foglia spada verso l’alto e cominciai a crescere. Dente di leone mi chiamarono gli alberi appena mi videro, tanto ero agguerrito nel conquistarmi un posto al mondo. Crebbi forte, le radici amare da cui prendevo forza non mi impedirono di germogliare tenero e delicato. Il mondo era magnifico, la pioggia generosa e il sole… beh il sole era maestoso e io volevo essere come lui. Quindi allungai il collo verso il cielo, snocciolai la mia chioma, petalo dopo petalo e divenni Tarassaco, il fiore giallo e arancione del sole, il principe dei fossi e delle strade, l’imperatore dei borghi, il re … dei piscioni, mi disse un giorno la signora cicoria, acre e crudele come solo lei sapeva essere. Mi raccontò che i più mi chiamavano Pisciacane o Piscia a letto, povera ignorante, lo diceva per svilirmi ma io sapevo che erano nomi legati alle mie antiche proprietà diuretiche, famose in tutto il mondo. Sì, potevo indurre gli uomini a fare la pipì, anche contro la loro volontà, anche fino al punto di fargliela fare a letto, nel sonno ahahahah! Poveretti. Impavido regnavo sulla via, immune a lazzi e ingiurie, orgoglioso del mio stelo e del fiore luminoso che ero divenuto, io crescevo. Mi ero dato come traguardo il superamento del muro, volevo guardare oltre, vedere il mondo al di là dell’ostacolo. Ci riuscii. Lo scoprii a poco a poco quell’orizzonte, ogni giorno un pezzetto di più. Di là del muro c’era un giardino pieno di fiori magnifici. Colori e profumi che io avevo solo immaginato si aprivano sotto il mio sguardo. Avrei voluto vivere fra loro, questa idea mi ronzava in testa, giorno e notte. Era diventato più di un desiderio, era un pensiero fisso che mi arruffava i petali, mi sbiancava il colore. Non riuscire ad immaginarmi una soluzione mi rendeva ispido e asciutto, quell’essere così impotente mi stava seccando. Intanto i giorni passavano e il mio capo canuto si era trasformato in un globo argentato: nato sole mi stavo trasformando in luna. Soffione, mi chiamavano gli arbusti della via. Ed è quella la mia unica speranza ora. Non il vento, che qua dietro il muro non mi raggiunge, ma un soffio, quello sì che potrebbe avverare i miei desideri.” “E come?” Chiesi io interrompendo per l